mercoledì 9 aprile 2008

I GHETTI NERI DI LISBONA (Prima parte)

“No, non vogliamo essere fotografate. Perché, cosa c’è di interessante? Noi ci viviamo ogni giorno in questa merda”.
Poi mi chiedono delle cose in una lingua che non capisco.
“È italiano, si chiama Sandro”, gli risponde Vleadimir in portoghese.
“Fotografa me, italiano! A me piace”, mi dice una donna dall’altra parte della strada.
“Grazie. Lei come si chiama?”
“Maria Amalia”.
“E il cane?”
“Bobby”.


“Vleadimir, parlavano creolo?”
“Sì, di sotavento, cioè delle isole meridionali di Capo Verde, dove sono cresciuto io. È incomprensibile perché è una mistura di dialetti dell’Africa centrale. Quelle donne sapevano che non le avresti capite, volevano farti sentire un intruso. Queste vie sono pubbliche, ma ogni straniero è visto come un nemico. Qui non siamo in un quartiere come gli altri, qui siamo a Cova da Moura, un ghetto negro”.

Lisbona, 25 aprile 1974: un colpo di stato militare mette fine a 40 anni di dittatura fascista. Il Consiglio della Rivoluzione concede l’indipendenza alle colonie africane, economicamente disastrate e senza una pubblica amministrazione. In pochi mesi migliaia di angolani, mozambicani e capoverdiani emigrano in Portogallo per sopravvivere.

“Come è nato Cova da Moura?”
“Semplice: chi arrivava dalla ex colonie o non poteva pagare un affitto oppure si sentiva dire dai padroni di casa che gli inquilini neri erano sgraditi. E così, nel giro di cinque anni, 7000 africani sono venuti qua, e ogni famiglia si è costruita la propria baracca abusiva. Guarda quella, sembra una palafitta”.


“E qui cosa c’era prima?”
“Niente, campi di grano, come in tutta la zona nord-ovest di Lisbona. Vedi quella casa verde?”


“Ecco, nel 2000, durante una retata della polizia, una banda armata ha atteso gli agenti sul tetto. Ci sono state scene da guerra, e alla fine è morto un ragazzo capoverdiano di diciassette anni”.
“E perché la polizia è venuta qui?”
“A Cova da Moura circolano tanta droga e tante armi, è un centro nevralgico della criminalità lisboneta. Adesso siamo arrivati in un’area del quartiere abitata dai returnados, cioè dagli ex coloni portoghesi. Questa gente dopo il 25 aprile del ’74 è stata cacciata via dai governi dei paesi africani in cui viveva subendo pure l’esproprio degli immobili. Coi pochi soldi che avevano nelle banche portoghesi sono comunque riusciti a costruirsi queste case, che hanno un aspetto quasi normale”.


“Cova da Moura vive una forte conflittualità geografica: nella parte alta abitano gli ex coloni, pure loro vittime della dittatura, e nella parte bassa gli ex colonizzati, che covano verso i returnados sentimenti di odio. Usciamo di qua, voglio farti vedere un panorama”.

Io e Vleadimir scendiamo un paio di chilometri verso la stazione di Amadora, fino all’acquedotto das Aguas Livres.
“Ecco, fotografa questi palazzi. Sono stati costruiti tutti negli anni ’60 da Jota Pimenta, un imprenditore così potente che obbligò il governo a far passare la ferrovia di qui".


"Jota Pimenta era un fascista, e dopo la rivoluzione scappò in Brasile senza un soldo. Verso l’84 tornò in Portogallo per riprendere gli affari, e nonostante il suo passato la Caixa Geral de Depositos, che è pure una banca pubblica, gli concesse un prestito enorme. Lui tirò su un nuovo quartiere chiamato Quinta da Mocha, vicino l’attuale Expo, che in breve tempo si riempì di angolani. Non c’erano strade, fognature, servizi igienici, niente: solo casermoni altissimi privi di ascensore. Le persone piuttosto che scendere le scale preferivano buttare la spazzatura dal balcone, che poi non veniva mai raccolta. Era un ambiente infernale, tanto che venivano giornalisti da tutta Europa per farci dei servizi, ma se ne tornavano a casa con l’epatite. Tutto questo col governo e la stampa portoghese indifferenti. Alla fine arrivò dall’Inghilterra l’inviato del Daily Mail imbottito di vaccini, e scrisse due pagine di reportage che causarono uno scandalo a livello internazionale, al punto tale che il primo ministro Cavaco Silva, oggi presidente della Repubblica, fu costretto a uscire dal silenzio e a chiedere fondi alla Comunità Europea per il risanamento della zona”.

E mentre ci incamminiamo verso il quartiere di São Bras, Vleadimir mi racconta la storia della sua vita.

Leggi la seconda parte!

1 commento:

carolina ha detto...

...mi fai rivivere i miei "viaggi lisboeti"....
ma guarda un po' chi trovo??? ero su internet alla ricerca di Delio...e invece mi salti fuori te!!
che bello questo spazio...

fica bem, Bj
Carol