lunedì 31 marzo 2008

IL LAVORO DI DÉLIO JASSE (Prima parte)

Délio Jasse abita in Travessa da Portuguesa, una strada del “bairro da Bica” che ha la stessa forma ad arco dei fili per stendere i panni appesi sui balconi. Lo trovo sul marciapiede mentre tenta di incollare un manifesto quasi illeggibile al muro esterno della sua casa.
“Ma a cosa ti serve?”
“Eh eh, adesso ti spiego. Entra Sandro, andiamo nel mio laboratorio, dove ho pure ricavato la camera oscura. È minuscolo, ma pensa, appena arrivai a Lisbona dall’Angola affittai ad Alfama una stanza ancora più piccola, dove oltre a dormire sviluppavo pure le mie fotografie. La mattina mi svegliavo coi polmoni pieni di nitrato d’argento e di potassio”.
Ci siediamo di fronte al suo computer, e Délio apre una cartella intitolata “revolução”.
“Ecco, mi chiedevi dei manifesti. In questo periodo ne strappo un po’ dappertutto, specie di associazioni politiche e anarchiche, li fotografo e poi ci sovraincido i volti di alcuni leader rivoluzionari. Ad animare chi stampa un volantino di carattere propagandistico c’è il concetto di cambiamento, lo stesso che ritrovi negli ideali di questi personaggi storici. Lui è Agostinho Neto, uno dei fondatori dell’MPLA(1), un’organizzazione che lottò per l’indipendenza dell’Angola dal Portogallo. Nel 1975 divenne anche il primo presidente del paese”.


“Ciascuno di noi fa la sua piccola rivoluzione, come chi rompe il silenzio e rende pubbliche le proprie idee attraverso un manifesto, o scrivendo sui muri. Poi ci sono rivoluzioni personali, legate magari all’aspetto fisico: io ad esempio mi sono lasciato crescere i capelli per farmi i rasta. Guarda, questo è Fidel Castro, che nel ’75 inviò in Angola le truppe cubane in appoggio all’MPLA”.


“Loro infine sono Nelson Mandela e Patrice Lumumba, un lider anticoloniale del Congo che aiutò il suo paese a liberarsi dal dominio belga”.



“Cosa ti ha avvicinato alla fotografia?”
“Oltre all’opera in se mi affascina l’intero processo creativo, tutto quello che sta dietro a una foto: la scelta del soggetto, dei dispositivi, dei materiali per lo sviluppo. La creazione è un fattore che mi porto dentro da quando ero bambino. In Angola non avevamo niente, ed io costruivo i miei giocattoli utilizzando i rifiuti. Ritagliando i coperchi delle scatole di sardine costruivo le carrozzerie delle macchinine, e poi facevo le ruote coi tappi delle bombolette spray. Ancora adesso raccolgo molte cose per la strada, tipo quel cassetto, vedi, dove ho impresso le mani della Monnalisa”.
“Ah si? Aspetta che lo fotografo. Vado fuori, così dà più l’idea di spazzatura”.

Il cassetto tra i binari dell'Elevador da Bica

“Eccomi, sarà l’unica foto a colori dell’articolo. Ma tu perché fotografi soltanto in bianco e nero?”
“Secondo me il colore è decorativo, mentre il bianco e nero è espressivo, dice più cose, accentua i contrasti. Anche le foto che ho esposto la scorsa settimana alla Sociedade Lomografica in Bairro Alto sono in bianco e nero. Rappresentano scene di caos, un tema ricorrente nella storia e nella vita quotidiana angolana”.
“Perché sei partito dall’Angola?
“Nel 1999 compì diciotto anni, e presto mi sarebbe arrivata la chiamata dell’esercito. A quel tempo arruolarsi significava partecipare alla guerra civile tra l’MPLA e l’UNITA per la spartizione del potere. Io non conoscevo bene la guerra, perché a Luanda, la mia città, non si combatteva. Però ne vedevo gli effetti: alcune volte tornavo a casa dal liceo e mancava l’acqua, altre volte la luce. Spesso poi sparivano gli amici, e non tornavano più. L’unico modo per uscire da questo inferno era andare a lavorare in un altro paese, e così decisi di venire in Portogallo, senza avere una minima idea di quello che avrei fatto nel mio futuro”.

(1): Movimento Popular Pela Libertação da Angola. Le altre organizzazioni che lottarono per l’indipendenza dal Portogallo (ottenuta nel 1974) furono la FLNA, l’UNITA e il FLEC. Dal 1975 in poi l’UNITA, appoggiata dal blocco occidentale, e l’MPLA, sostenuta dal blocco sovietico, si sono scontrate per la gestione del potere politico.

Leggi la seconda parte!

venerdì 28 marzo 2008

I PENSIERI DEL BLOGGER (Rubrica di intuizioni editoriali, parte 3)

"Non decollano gli ingressi, ma lo credo, per Google sono ancora un fantasma..."

giovedì 27 marzo 2008

DOMANDE APERTE

A Lisbona lo spazzino è un po' pompiere, nel senso che al posto dello scopettone usa l'idrante, e lava le strade del centro inondandole d'acqua. Questo video l'ho girato ieri notte in Baixa, all'incrocio tra Rua da Prata e Rua de São Nicolau.



Tutto ciò, è davvero necessario?

SENZA PACCHETTO

Al bancone del Tejo Bar, in piena Alfama, c'è una cassetta di legno dove i fumatori più generosi lasciano tabacco, cartine e sigarette per i clienti sprovvisti. La domanda supera sempre l'offerta, ma se siete fortunati può bastarvi l'accendino.

mercoledì 26 marzo 2008

UN MUSICISTA MIGRANTE

È nato 34 anni fa a Mileto (Vibo Valentia), ma è cresciuto a Milano. Poi, nel 1996, è venuto a Lisbona per un Erasmus, col suo contrabbasso. Oggi Francesco Valente è il musicista italiano più attivo sulla scena portoghese. Ha collaborato con artisti come Youssou N'dour e Tito Paris e ha inciso tre dischi con i Terrakota, una banda che mescola sonorità dell’Africa, dell’Europa e del Sud America apprezzata a livello internazionale.
L’ho incontrato sabato 15 Marzo al Bacalhoeiro prima di una sua performance da solista, in occasione di una serata dedicata alla cultura calabrese.

Cosa suonerai stasera?
Di recente ho fatto un viaggio in Bolivia, dove ho conosciuto alcuni piccoli strumenti ritmici che appoggiati alla cassa del contrabbasso producono effetti molto particolari. Il più strano è il kalimba, una tavoletta di legno con un pettine di asticelle metalliche flessibili, tipo scacciapensieri. Durante l’esibizione con l’aiuto di un’apparecchiatura elettronica a pedale registrerò questi suoni e li amplificherò in loop mediante le casse, per generare una specie di eco smorzata. In contemporanea saranno proiettate delle foto di Mileto risalenti all’inizio del ‘900 che ho trovato nell’album dei miei nonni.

Dopo l’Erasmus come hai deciso di rimanere a Lisbona?
Per evitare il servizio militare scelsi di lavorare un anno per un’associazione che dava sostegno agli abitanti delle favelas lisbonete, situate lungo le linee ferroviarie che portano a Sintra e a Cascais. Nel frattempo cambiò la legge sull’obiezione di coscienza, e fui costretto a continuare per altri due anni. Proprio in quel periodo iniziai le prime collaborazioni musicali che portarono alla nascita dei Terrakota, dei Tora Tora Big Band, degli Anonima Nuvolari e delle altre formazioni con le quali suono attualmente.

Il tuo percorso però è iniziato in Italia?
Sì, a Milano suonavo il basso in un gruppo metal, ma già col mio primo complesso portoghese, l’Orquestrinha da Pena, cominciai a sperimentare nuovi generi, approfittando della presenza di musicisti provenienti dalle ex colonie.

Si può dire che Lisbona è la capitale del musicista migrante?
È vero, è una condizione permanente del musicista che opera a Lisbona. Noi dei Terrakota ad esempio non solo abbiamo origini diverse, ma spesso andiamo negli altri continenti per apprendere sonorità sconosciute e importarle qua. Purtroppo questo aspetto non è sempre ben recepito all’estero, dove alle volte veniamo considerati come un qualunque gruppo portoghese, tanto che in alcuni concerti ci chiedono di suonare il fado. Ecco, ma il fado stesso, nato appena 80 anni fa, è una mescolanza di tre generi musicali non portoghesi: la morna capoverdiana, il lundun angolano e lo chorinho brasiliano.

Francesco Valente durante le prove al Bacalhoeiro

Da quale nazione europea arrivano a Lisbona la maggioranza dei musicisti stranieri?
In assoluto direi dalla Germania. In Alentejo(1) addirittura ci sono interi villaggi costituiti da hippie e freak tedeschi, attratti dal Portogallo in quanto frontiera culturale tra l’Europa, l’Africa e l’America Latina. E in effetti per i portoghesi stessi la vera Europa comincia oltre i Pirenei, non a caso da sempre vedono nella Francia il modello di nazione a cui ispirarsi.

Quest’incrocio di culture e generi musicali provenienti da tutto il mondo, fa di Lisbona una delle capitali europee della musica al pari di Londra e Berlino?
No, siamo molto lontani da quei livelli, e non perché manchino le risorse umane, ma perché non vengono organizzati eventi capaci di richiamare l’attenzione del grande pubblico. Inoltre le case discografiche portoghesi non possono contendere il mercato ai colossi inglesi e tedeschi. Qui per essere premiati col disco di platino basta vendere 10.000 copie, il bacino di pubblico è davvero ridotto.

(1): Regione centro-meridionale del Portogallo, prevalentemente rurale.
Link al myspace di Francesco
Link al sito dei Terrakota

martedì 25 marzo 2008

FOTOGRAMAS (1)

Fermo immagini di film mai girati a Lisbona
or
Apparizioni più uniche che rare del Terry sul blog del Bresci

Il sogno del professore

Frame da
Il posto delle fragole
Ingmar Bergman, 1957


Scattata in
Rua da Escola Politécnica,
oggi

venerdì 21 marzo 2008

ANCHE IL BLOGGER VA IN VACANZA...

...e dall'oceano augura a tutti buona Pasqua. Alla prossima settimana!

giovedì 20 marzo 2008

I PENSIERI DEL BLOGGER (Rubrica di intuizioni editoriali, parte 2)

"Al mio blog serve un filo conduttore..."

martedì 18 marzo 2008

5 MINUTI CON L’ENGRAXADOR DEL ROSSIO

Sandro - “Posso girare un video mentre lucida le scarpe a un cliente?”
Engraxador - “Un video?”
S - “Sì, e nel frattempo le chiedo qualcosa sul suo lavoro”.
E - “Eh no! Così mi sembra troppo! Almeno mi faccia lucidare le sue scarpe, non faccio niente per niente”.
S - “Ma io le faccio pubblicità”.
E - “No, guardi, sono io che le faccio pubblicità. Già mi hanno filmato tutte le televisioni portoghesi, e tramite mio fratello che lavora ad Amburgo mi ha pure intervistato un giornale tedesco”.
S - “E quanto mi costa farmi lucidare le scarpe?”
E - “Tre euro, ma le sue scarpe non sono adatte, la pelle è troppo morbida, se le vada a cambiare”.
S - “No, no, ci metto venti minuti per arrivare a casa”.
E - “Come vuole, allora si sieda”.



Traduzione dell’intervista
S - “Come si chiama?”
E - “Carlos Alberto”.
S - “Ed è di Lisbona?”
E - “Sì, sono di Lisbona”.
S - “Quanti anni ha?”
E - “Ne ho 54”.
S - “Da quanto tempo fa questo lavoro?”
E - “Circa una mezza dozzina di anni”.
S - “Quanto?”
E - “Una mezza dozzina di anni, sei anni”.
S - “E prima che lavoro faceva?”
E - “Prima lavoravo nel settore alberghiero?”
S - “Guadagna molto?”
E - “Con questo lavoro? No, si guadagna poco, ho pochi clienti, gli affari vanno male”.
S - “Vanno male…”
E - “E poi ci sono molti engraxadores, capisce?”
S - “La concorrenza…”
E - “Sì, c’è concorrenza, questo lavoro non rende”.
S - “E quanti clienti ha in un giorno?”
E - “Non c’è una regola, posso farne quattro, cinque, sei, al massimo dieci, comunque pochi. Gli affari vanno male, come le dicevo”.
S - “E per ogni cliente sono tre euro?”
E - “Sì, in media, dipende dalle scarpe”.
S - “Qual è il suo tipico cliente?”
E - “Il mio tipico cliente? Non saprei…gli anziani, si, gli anziani, i giovani non vengono. Gli anziani insomma, o persone di mezza età”.
S - “Dica tre motivi per convincere qualcuno a farsi lucidare le scarpe”.
E - “Non so, fa parte dello stile di vita di una persona, non vedo nessun altro motivo”.
S - “Una scarpa lucidata regolarmente dura di più?”
E - “Certo, dura molto di più… mi dia l’altro piede. Una scarpa lucidata dura di più, è più difficile che si rovini”.
S - “E lei è tifoso dello Sporting o del Benfica?”
E - “Del Benfica, è la migliore! Adesso però è debole…va male, va male”.
S - “Qual è la differenza tra i tifosi dello Sporting e quelli del Benfica?”
E - “I tifosi sono tutti uguali: alcuni cercano solo guai, altri invece vogliono soltanto vincere. Non è così?”
S - “Sì, è così…e a lei piace di più la Sagres o la Super Bock(1)?”
E - “La Super Bock, ha più carattere. E questa cosa che sta facendo pure è per la Super Bock, vero?”
Per errore a questa domanda dell'engraxador capisco: "E pure lei è per la Super Bock, vero?"
S - “Chiaro, è la migliore”.
E - “E infatti mi sembrava che ci fosse qualcosa di strano in questa intervista”.
Da questo momento l’engraxador inizia a pensare che io stia girando una pubblicità per la Super Bock. Me ne sono accorto solo dopo aver rivisto il video.
S - “Bene, allora grazie e buon lavoro”.
E - “Ma apparirò in televisione?”
S - “Come?”
E - “Apparirò in televisione?”
S - “No, su Internet”.
E - “Ah, Internet…ancora una volta su Internet, non ne posso più di apparire ovunque. Beato lei che lavora per la Super Bock”.
S - “Grazie, buon lavoro”.
E - “Di niente”.

(1): Sagres e Super Bock sono le due birre portoghesi più vendute nel paese.

Il video è disponibile anche sul canale youtube di ilcielosopralisbona.

lunedì 17 marzo 2008

QUESTI POPOLI DELL'OVEST

E se dopo aver visto i brasiliani del post precedente, anche a voi venisse voglia di farvi una fila a Lisbona, allora state molto attenti ai rimproveri e alle brutte figure: i portoghesi salgono sui mezzi di trasporto pubblici con lo stesso ordine in cui arrivano alla fermata.

ORDEM E PROGRESSO

Coraggio! Se ognuno rispetta l'ordine di arrivo, anche la fila più lunga progredisce senza complicazioni.
È questa la chiave interpretativa del motto "Ordem e Progresso" che appare sulla bandiera carioca?
A giudicare dalla coda per il rinnovo dei visti che c'era stamattina davanti all'ambasciata del Brasile di Praça de Camões così sembrerebbe.



Il video è disponibile anche sul canale youtube di ilcielosopralisbona.

sabato 15 marzo 2008

SUI MURI DI LISBONA (Rubrica facile, parte 5)

Calçada do Garçia, Rossio\Martim Moniz

giovedì 13 marzo 2008

I PENSIERI DEL BLOGGER (Rubrica di intuizioni editoriali, parte 1)


"Il mio blog non sfonda...e se mi vestissi da Gioconda?"

mercoledì 12 marzo 2008

IL GRIOT DEL BAIRRO ALTO (Seconda parte)

Leggi la prima parte!

“Nel ’94, a 21 anni, decisi di lasciare il mio paese e di venire a Lisbona, che è una città di frontiera tra l’Africa, l’Europa e il Sud America. Anche Londra e Berlino sono capitali cosmopolite, ma qui l’integrazione tra le varie comunità è davvero unica. I griot hanno uno spirito nomade, e così come fece mio nonno, che dal Mali si spostò nella Guinea Bissau, pure io emigrai, per la curiosità di conoscere nuove culture e per il bisogno di staccarmi dalla società guineense, dominata da modelli gerarchici. Non capivo perché nonostante avessi vent’anni a disporre della mia vita doveva essere il capofamiglia, che a sua volta ubbidisce al capovillaggio, le cui decisioni dipendono dal discendente del re. Questa è la contraddizione che viviamo noi giovani africani che viaggiamo per il mondo: esportiamo i valori di una realtà dalla quale fuggiamo. Nel 2005, quando finalmente registrai il mio primo disco, Teriké, che in madinga significa ‘amico’, espressi questi concetti nel brano Jussu sumia, ‘felicità’, dicendo proprio che la felicità di ogni persona risiede nella possibilità di scegliere per se stessa. Ecco, te la canto”.

Jussu sumia


“Grazie Kimì”.
“Sai che a questo disco ha partecipato pure una cantante italiana? Si chiama Chiara. E c’era pure Johannes, un trombettista tedesco. A partire dagli ultimi anni ’90 a Lisbona sono arrivati tanti musicisti europei interessati alle sonorità africane. Con loro due ho fondato il gruppo Tama Là, e insieme siamo andati in tournee in molti paesi, pure in Italia, esattamente a Pontedera, a Roma e a San Marino”.
Appena gli dico che le 500 lire di San Marino erano diverse da quelle italiane, e che addirittura esiste una nazionale sammarinese, Kimì scoppia a ridere.
“Ah ,ah, ah…e hanno pure un campionato di calcio?”
Non ne ho idea, ma gli rispondo di sì perché mi piace vederlo sganasciarsi in quel modo.
“No, scusami, so che la ricchezza dell’Italia sta nell’unione delle varie identità che la compongono, ma alle volte credo che certe rivendicazioni ostacolino i processi integrativi. Nel nome di inesistenti ‘superiorità razziali’ alcune etnie africane si sono contrastate persino con le armi. Senti, io vivo a Lisbona da quasi quindici anni, e trovo che la cosa peggiore dei portoghesi sia questo timoroso atteggiamento che hanno nei confronti delle culture delle ex colonie, quasi come se la contaminazione potesse minacciare la loro identità nazionale. Cercano in modo patetico di conservare questo ‘orgoglio lusitano’ rievocando di continuo episodi accaduti 500 anni fa, senza alcuna fiducia nel futuro. Se chiedi a un portoghese chi sono i griot lui non lo sa, eppure li ha dominati per secoli. E la stessa cosa succede con la musica: per loro il repertorio africano si ferma al funanà e alle mornas introdotte dai primi immigrati capoverdiani negli anni ’60. Non conoscono altro. Anche per questo ho deciso di registrare il mio secondo disco, che uscirà tra poco e avrà il mio nome, Kimì Djabaté, soltanto con strumentisti guineensi, voglio che il pubblico europeo sappia cos’è la musica dei griot allo stato puro. Il mio produttore è un indoamericano, ho cercato di convincere qualche casa discografica portoghese, ma mi dicevano sempre aspetta, aspetta, aspetta…”


Link al mysapce di Kimì: myspace.com/kimidjabate.
I video sono disponibili anche sul canale youtube di ilcielosopralisbona.

martedì 11 marzo 2008

PUGNO CHIUSO E MOUNTAIN BIKE

Le versioni del "compagno" si sa, sono tante. C'è il "compagno che ha sbagliato", il "compagno Don Camillo", e da sabato scorso pure il "compagno in mountain bike".
Mi è apparso al Rossio durante una manifestazione del SPGL (Sindicato Professores da Grande Lisboa), ecco le prove:



Lo slogan dice: "Senhora Sinistra, não insista!". La Sehnora Sinistra sarebbe la Ministra, cioè la "Signora Disastro", alla quale il compagno chiede di non insistere a far danni nell'istruzione pubblica.

lunedì 10 marzo 2008

IL GRIOT DEL BAIRRO ALTO (Prima parte)

“Pronto? Ciao, sono Sandro. Tu sei Kimi, vero? E suoni la kora?”
“Eh eh…no, in verità mi chiamo Kimì e suono la korà (1), e in particolare il balafon. Ho letto il tuo messaggio, se vuoi possiamo vederci domani, ci stai?”
“Va benissimo, allora porta lo strumento che preferisci, così facciamo un video”.
“Ok, porto il balafon. Troviamoci in Bairro Alto, io vivo lì. Fammi pensare a un posto silenzioso…ecco! Alle quattro all’incrocio tra Rua dos Caetanos e Travessa dos Inglesinhos, proprio dietro il Conservatorio, hai presente?”

Lo vedo arrivare affaticato con una grossa custodia sulle spalle. “È pesante, vero?”
“Sai, le salite del Bairro. Comunque ci ho fatto l’abitudine, a fare le prove col mio gruppo vado sempre a piedi”.
Kimì apre la custodia, e per la prima volta osservo un balafon. “Ma è un predecessore dello xilofono o sbaglio?”
“Sì, è molto simile, le sonorità però cambiano. Guarda, sotto i tasti di legno ci sono delle zucche che funzionano da cassa di risonanza, infatti sono forate. Anticamente il buco si ricopriva con la tela di ragno, o addirittura con le ali di pipistrello. Adesso invece si usano molto le cartine per rollare il tabacco, lo faccio anch’io”.
“E come hai imparato a suonarlo?”
“È così, io provengo da una famiglia di griot…ma tu sai cos’è un griot?”
“È un saggio che tramanda oralmente la storia della propria etnia, no? Aspetta, chi è che diceva: ‘Quando in Africa muore un vecchio è una biblioteca che brucia’?”
“Esatto, era Armadou Hampate Ba, uno scrittore malinese. I griot però sono figure tipiche di tutta l’Africa occidentale. Ecco, mio nonno nacque in una tribù di griot di etnia mandinga, che quando lui era giovane lasciò il Mali per viaggiare nella Guinea-Bissau. Dopo qualche anno uno dei tanti re che conservò il suo potere durante la dominazione portoghese, quello della regione di Cossarà, lì invitò a fermarsi e a lavorare alla propria corte. Così nacque Tabato, il mio villaggio, uno stranissimo accampamento di cento persone, tutte griot, dove ancora oggi non si fa altro che raccontare storie dalla mattina alla sera accompagnandole con strumenti tradizionali come il balafon, il djembè, la korà e il konì (2). E siccome la cultura dei griot si trasmette a livello familiare, già dall'età di tre anni non appena iniziavo a piangere i miei genitori mi mettevano in mano queste due mazze ricoperte di caucciù, e io martellando il balafon ritornavo allegro”.
“Che bisogno aveva il re di chiamare la tribù di tuo nonno alla sua corte?”
“I griot, conoscendo le storie di tutte le famiglie di una certa etnia, potevano aiutare il re a prendere le sue decisioni. Ancora oggi nella Guinea-Bissau alcuni conflitti tra famiglie vengono risolti dai discendenti di quei re, che prima di stabilire il da farsi consultano i griot. A me è capitato tante volte di suonare per ore e ore mentre un griot di Tabato raccontava ad uno di questi discendenti reali tutto il passato di due famiglie in lotta fra loro”.
“E un griot come fa ad essere riconosciuto tale? Mica esiste un titolo?”
“No, certo, viene riconosciuto in base al cognome. Il mio ad esempio è Djabatè, e nella mia regione tutti sanno che i Djabatè provengono da una dinastia di griot, così come i Sumano, i Kuiatè e i Galissà".
“E pure le donne potevano essere griot?”
“Sì, l’unica differenza è che le donne griot suonavano unicamente il neghelì, uno strumento a corda che si tende tra gli anulari delle due mani. Per il resto avevano sul re la stessa influenza degli uomini. Adesso ti suono un brano che si chiama ‘Lamban’, che in madinga, il dialetto dei mandinghi, significa ‘calma’, e invitava il re a prendere le sue decisioni in serenità”.

Lamban



(1) Strumento tradizionale dell'etnia mandinga costituito da 21 corde e una cassa semisferica.
(2) Strumento a quattro corde simile al liuto.

venerdì 7 marzo 2008

IL MAESTRO

È seduto al mio tavolo, ma con lui non posso parlare, perché ha soltanto una cosa da dire al mondo, ed è un messaggio da parte di qualcuno, o una profezia, che presto o tardi confiderà a un prescelto. Per questo lo chiamano il Maestro.
Di lui non si sa niente, eppure si sa tutto: ogni giorno, per la stessa durata e alle stesse ore, fa sempre le stesse cose: passeggia nelle stesse strade, entra negli stessi locali e riposa nelle stesse piazze. A mezzanotte arriva a questo Bar Estadio, legge il Correio da Manhã, fuma una português vermelha e mescola il suo caffè per dieci minuti esatti. Che senso dareste a tutto ciò?
La risposta sta nella sua lezione silenziosa: per essere notati da un particolare gruppo di persone, non è importante fare gesti eclatanti, ma far sempre determinate cose.
Chi pensa di aver capito allora si tenga pronto, potrebbe essere il prescelto.

giovedì 6 marzo 2008

SUI MURI DI LISBONA (Rubrica facile, parte 4)

Rua do Loreto, Bairro Alto\Bica

martedì 4 marzo 2008

PER UN PUGNO DI ESCUDOS

- “Mi scusi, mi scusi tanto, non volevo offenderla, è che su internet ho letto…”
- “Non ti preoccupare, è colpa dei maledetti giornali portoghesi, quegli schifosi. Mi stavi dando la caccia eh? Da un’ora ti vedo fare domande a tutti i venditori. Pensavo: che diavolo cercherà quello lì che non si possa trovare alla Feira da Ladra? Ma chi sei? Un turista? Un giornalista? Come fai a sapere quella storia di vent’anni fa?”
- “No, vede, io sono italiano e scrivo…”
- “Eh? È arrivata pure in Italia quella dannata notizia? Come se non ne aveste già tante delle vostre. E va bene, te la racconto, così almeno scrivi la verità, se ti pare. Però amico niente foto e niente nomi, intesi?”

“Conosce il signor Vinagre? João Vinagre, è un bancarellista pure lui”. Così, su e giù per il Campo de Santa Clara, ma la replica è sempre uguale: “Cosa vende?”
Ma che domanda è? Alla feira vendono tutti le stesse cose!
“Bugigangas”, butto lì, cianfrusaglie.
E siccome in portoghese vinagre significa aceto, qualcuno mi dice che no, non lo conosce, ed è un vero peccato per la mia insalata.
Si fa tardi, e decido di giocarmi l’informazione taciuta per pudore. “Ecco, se può aiutarvi, so che lo chiamano ‘lo scemo della feira’, vi dice niente?” Al terzo tentativo, mi sento rispondere da dietro: “Sono io João Vinagre…e tu che accidenti stai cercando?”

Dà un morso al suo panino imbottito con la carne e comincia a parlare. “Io ho un’impresa edile, rimodello, faccio stucchi, e tiro su le case, da quarant’anni amico, tutto con queste mani. Aspetta che ti do il mio bigliettino da visita, tieni, e chiamami, perché ne avrai bisogno, non c’è lavoro che non sappia fare. Che ti dicevo? Ah, ecco, ma la mia vera passione sono i soldi, gli affari, e che male c’è? Mica vendo solo qua, la domenica vado pure ad Algés. Quello si che è un mercato, la Feira da Ladra ormai è una porcheria. Là trovi gli stessi venditori che vedi qui, però puliti e vestiti bene, e con roba buona, perché a comprare vengono i signori. Insomma, quando vado a ristrutturare catapecchie abbandonate, e a Lisbona ce ne sono tante, riempio dei sacchetti con tutto quello che trovo: fogliacci, giocattoli rotti, stoviglie arrugginite. Prendo tutto e lo rivendo qui alla feira. Ecco, una volta in mezzo a tutta quella robaccia trovo una carta ingiallita che mi sembra la ricevuta di un assegno, o la polizza di un’assicurazione. La porto qui e la rivendo a un inglese per 1000 scudi (1), giurando di aver fatto un affare, tanto che alla fine ci stringiamo la mano e gli lascio pure il bigliettino da visita, uguale a quello che ho dato a te. Non passa un mese che apro il giornale e a tutta pagina leggo: ‘João Vinagre, lo scemo della Feira da Ladra’. C’era una foto di quella maladetta cartaccia, ma altro che polizza, era una specie di banconota che circolava in India non so quanti secoli fa, una cosa rarissima. L’inglese l’aveva rivenduta a un’asta per 17.000 contos (2) portoghesi! 17.000 contos, capito? 85.000 euro di adesso! Come dite voi in Italia? Porca miseria! Feci causa al giornale per quel titolo, e quando qui alla feira mi sfottevano alzavo pure le mani. C’ho messo un paio d’anni per ritrovare pace. Ma scrivilo che Vinagre ha fatto pure grossi affari. Una volta ho venduto un album dei Beatles, quello con la copertina tutta bianca (White Album), per 3000 contos, aveva un numero di serie molto basso. Ma tu abiti qua a Lisbona? Guarda quel videogioco da bar, dammi 50 euro e te lo porti via. Per il trasporto non c’è problema, chiamo un mio nipote e te lo porta a casa col furgone”.


Il videogioco di João Vinagre. Per chi è interessato, 50 euro trattabili

(1): 1000 scudi = 5 euro
(2): 1 conto = 1000 scudi

lunedì 3 marzo 2008

PRIMA PAGINA

Tutti i quotidiani portoghesi, ad eccezione del Publico e del 24 horas, hanno aperto le edizioni di stamattina con la notizia del pareggio tra Sporting Lisbona e Benfica nel derby della capitale. Record e O Jogo hanno addirittura usato la stessa foto.
La frenetica cronaca lusitana: per l'ennesimo giorno dalla scoperta del Brasile, anche ieri non è successo niente.


Edicola tra Largo do Chiado e Praça de Camões