lunedì 10 marzo 2008

IL GRIOT DEL BAIRRO ALTO (Prima parte)

“Pronto? Ciao, sono Sandro. Tu sei Kimi, vero? E suoni la kora?”
“Eh eh…no, in verità mi chiamo Kimì e suono la korà (1), e in particolare il balafon. Ho letto il tuo messaggio, se vuoi possiamo vederci domani, ci stai?”
“Va benissimo, allora porta lo strumento che preferisci, così facciamo un video”.
“Ok, porto il balafon. Troviamoci in Bairro Alto, io vivo lì. Fammi pensare a un posto silenzioso…ecco! Alle quattro all’incrocio tra Rua dos Caetanos e Travessa dos Inglesinhos, proprio dietro il Conservatorio, hai presente?”

Lo vedo arrivare affaticato con una grossa custodia sulle spalle. “È pesante, vero?”
“Sai, le salite del Bairro. Comunque ci ho fatto l’abitudine, a fare le prove col mio gruppo vado sempre a piedi”.
Kimì apre la custodia, e per la prima volta osservo un balafon. “Ma è un predecessore dello xilofono o sbaglio?”
“Sì, è molto simile, le sonorità però cambiano. Guarda, sotto i tasti di legno ci sono delle zucche che funzionano da cassa di risonanza, infatti sono forate. Anticamente il buco si ricopriva con la tela di ragno, o addirittura con le ali di pipistrello. Adesso invece si usano molto le cartine per rollare il tabacco, lo faccio anch’io”.
“E come hai imparato a suonarlo?”
“È così, io provengo da una famiglia di griot…ma tu sai cos’è un griot?”
“È un saggio che tramanda oralmente la storia della propria etnia, no? Aspetta, chi è che diceva: ‘Quando in Africa muore un vecchio è una biblioteca che brucia’?”
“Esatto, era Armadou Hampate Ba, uno scrittore malinese. I griot però sono figure tipiche di tutta l’Africa occidentale. Ecco, mio nonno nacque in una tribù di griot di etnia mandinga, che quando lui era giovane lasciò il Mali per viaggiare nella Guinea-Bissau. Dopo qualche anno uno dei tanti re che conservò il suo potere durante la dominazione portoghese, quello della regione di Cossarà, lì invitò a fermarsi e a lavorare alla propria corte. Così nacque Tabato, il mio villaggio, uno stranissimo accampamento di cento persone, tutte griot, dove ancora oggi non si fa altro che raccontare storie dalla mattina alla sera accompagnandole con strumenti tradizionali come il balafon, il djembè, la korà e il konì (2). E siccome la cultura dei griot si trasmette a livello familiare, già dall'età di tre anni non appena iniziavo a piangere i miei genitori mi mettevano in mano queste due mazze ricoperte di caucciù, e io martellando il balafon ritornavo allegro”.
“Che bisogno aveva il re di chiamare la tribù di tuo nonno alla sua corte?”
“I griot, conoscendo le storie di tutte le famiglie di una certa etnia, potevano aiutare il re a prendere le sue decisioni. Ancora oggi nella Guinea-Bissau alcuni conflitti tra famiglie vengono risolti dai discendenti di quei re, che prima di stabilire il da farsi consultano i griot. A me è capitato tante volte di suonare per ore e ore mentre un griot di Tabato raccontava ad uno di questi discendenti reali tutto il passato di due famiglie in lotta fra loro”.
“E un griot come fa ad essere riconosciuto tale? Mica esiste un titolo?”
“No, certo, viene riconosciuto in base al cognome. Il mio ad esempio è Djabatè, e nella mia regione tutti sanno che i Djabatè provengono da una dinastia di griot, così come i Sumano, i Kuiatè e i Galissà".
“E pure le donne potevano essere griot?”
“Sì, l’unica differenza è che le donne griot suonavano unicamente il neghelì, uno strumento a corda che si tende tra gli anulari delle due mani. Per il resto avevano sul re la stessa influenza degli uomini. Adesso ti suono un brano che si chiama ‘Lamban’, che in madinga, il dialetto dei mandinghi, significa ‘calma’, e invitava il re a prendere le sue decisioni in serenità”.

Lamban



(1) Strumento tradizionale dell'etnia mandinga costituito da 21 corde e una cassa semisferica.
(2) Strumento a quattro corde simile al liuto.

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