LEGGI LA PRIMA PARTE!
Ai piedi della salita, chilometro 96 sull’EN247, trovo un chiosco e consumo la mia “bomba”: un caffè ristretto (qui lo chiamano italiana) con troppo zucchero. Io amo il ciclismo, e il mio corridore preferito era Gianni Bugno, che sulle montagne non si alzava mai sui pedali, e da seduto scandiva un ritmo che faceva il vuoto. Oggi però il mio stile è più simile a quello di Cacaito Rodriguez, il colombiano smilzo che si agitava tutto, chiamato così per via della sua pelle scura color cacao. Procedo lento ma costante, sempre a testa bassa, perché “guardar lontano scoraggia”, come diceva Vito Taccone, il vecchio scalatore soprannominato “Camoscio d’Abruzzo”. Ogni tanto mi affianca un motociclista, suona il clacson e stira la gamba destra, un gesto che, nel gergo delle due ruote, significa ammirazione per la tua audacia. In questo momento tuttavia mi farebbe più comodo una secchiata d’acqua. Alle 16.17 arrivo a Malveira da Serra, chilometro 92.5, un villaggio minuscolo e un po’ sfigato, così nascosto dal bosco che da qui non si gode nemmeno del panorama sulle spiagge.
Mi fermo soltanto per comprare mezzo litro di the freddo al limone e quattro pile per la macchina fotografica a un mini-mercado, una specie di emporio molto diffuso in Portogallo, dove si trova tutto, ma di scarsa qualità. Proseguo sulla statale e iniziano i tornanti, in uno scenario sempre più isolato e silenzioso. Quando passo davanti alle ville, l’unico rumore udibile, il cigolio della catena, viene sommerso dagli abbai dei perdigueiros, una razza locale di moda tra i lusitani ricchi. Si apre la vegetazione, e oltre le colline vedo la praia do Guincho.
La gamba si è indurita e ho finito il the, ma sono salvo: alle 16.56, chilometro 87, mi appare il bivio per Cabo da Roca. Evviva, si scende.
Appena dopo i ristoranti e le boutique per turisti di Azóia, l’aspetto dei luoghi diventa selvaggio, e mi ritrovo all’improvviso a pedalare dentro un banco di nebbia. Ne esco fuori all’incrocio per la praia da Ursa, una spiaggia incastrata fra le scogliere e gli strapiombi, raggiungibile soltanto da sentieri che discendono la parete rocciosa del monte. Ho letto grandi cose su questo “avamposto costiero”, e decido di fare una deviazione. Lascio la 245 e mi avvio.
Dopo 500 metri di strada sterrata si arriva a una piazzola, dove dei cartelli segnalano in varie lingue che la spiaggia non è vigilata, e che la discesa non è affatto sicura.
Da qui parte una vera e propria mulattiera interrotta da spine e cespugli di rovi, e complice il maltempo, l’ambiente che mi circonda sembra un misto tra l’inferno dantesco e le montagne del presepe. Bellissimi i faraglioni sullo sfondo, alti almeno 60 metri.
La spiaggia non è a vista e i sentieri si ramificano: seguo la scia dei mozziconi di sigarette, che pare la più battuta. Dopo mezz’ora di pene corporali, tra graffi alle gambe e microfrane, mi accorgo di aver fatto la scelta sbagliata: sotto di me si apre una gola profonda, un burrone da cui è bene allontanarsi.
Sono le 18.33 e devo consegnare la bicicletta per le 20.00, non c’è tempo per cercare il percorso esatto. Torno sui miei passi e continuo per Cabo da Roca, che raggiungo dopo poche curve.
Ci siamo, già vedo i pullman dei viaggi organizzati, il faro, e l’ufficio dove al prezzo di 9 euro e 95 è possibile acquistare un certificato personale che attesta il passaggio dal punto più occidentale del continente. Supero quest’area e mi avvicino al monumento, dove tutti si fanno le foto. Appena arriva il mio turno metto in posa la 245. Latitudine 38º 47, longitudine 9º 30: è la bicicletta più a ovest d’Europa.
venerdì 25 luglio 2008
LA BICICLETTA PIÙ A OVEST D’EUROPA (Fotoracconto, parte 2)
Etichette:
cabo da roca,
cascais,
Lisbona,
mare
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Bresci non ci credo, ce l'hai fatta?!?!? io, Giusy e Ilaria ci provammo, ma ci arrendemmo già alla Praia do Guincho (e già ci sembrava di aver fatto un'impresona!!!)
Parabens!
Cristina
Posta un commento